Parrocchia di Poirino




TEMA: Eucaristia 3° Quaresima - in data: 15/03/2020

Il Vangelo battesimale di questa domenica ci insegna i passi essenziali del percorso da compiere per consegnarci alla fede, mettendo nel Signore le nostre vulnerabilità e paure. In quel suo: “Sono io che ti parlo” c’è la nostra fede e la nostra salvezza.
I passi della fede sono quelli percorsi dalla samaritana, prima di arrivare a pronunciare il suo atto di riconoscimento, di fronte a Gesù. Nel cammino di questa donna vediamo anche ciò che possiamo fare noi: passare dalla negazione del nostro peccato, alla confessione e alla liberazione.
Primo passo: la donna samaritana, all’inizio prende le distanze da Gesù, come se non volesse entrare in relazione. Gesù la invita… è lui che si fa avanti, e le chiede un sorso d’acqua. La samaritana risponde secondo il cliché normale: « Come mai tu mi chiedi da bere… e non tieni presente due cose: primo, che sono una donna e stando alle regole tu non dovresti parlarmi; secondo: sono una straniera e tu sei giudeo. Siamo nemici: come mai questa confidenza?
Questa resistenza è anche in ognuno di noi. Molta parte della nostra vita è come se fosse condotta come una specie di teatro. Noi sappiamo di essere sempre sotto gli occhi degli altri: gli altri ci giudicano, ci valutano, ci pesano, ci confrontano. Abbiamo paura del giudizio e del confronto degli altri. Ci mettiamo allora una maschera e recitiamo il nostro copione. In ogni ambiente dove andiamo, più o meno, sappiamo che parte recitare, cosa fare, cosa dire, in modo da venire incontro alle aspettative degli altri, come pensiamo che gli altri ci vogliano. La prima forma del nostro male è il peccato dell’adeguamento; del non essere convinti, sicuri e coerenti con noi stessi; di adeguarci a dire ciò che bisogna, di volta in volta. Questa abitudine, gradualmente, senza che ce ne accorgiamo, ci “cuce addosso una bella maschera”. Noi non ci lasciamo più trovare, né dal Signore, né dagli altri. Madonna povertà, secondo San Francesco, il primo aiuto per la fede questo: combattere decisamente la maschera, amando di essere poveri e schietti.
Secondo passo che fa la samaritana, dal momento che Gesù insiste e continua a invitarla, a fermarsi a parlare con lui, insistendo ancora su quell’acqua di cui ha bisogno ma che vorrebbe lui stesso darle! Questa donna, che ha paura e non vuole aprirsi, sembra però quasi arrabbiarsi: « Possibile! Non hai un mezzo per attingere e questo pozzo è profondo. Come fai a dirmi che sei tu a darmi dell’acqua? Chi pensi di essere? sei forse più grande del nostro padre Giacobbe? »
Nel percorso della fede, questo è il “peccato della mormorazione”: proiettare sugli altri ciò che non accettiamo in noi, sapendo bene chi siamo. Essere sempre lì a pensare male degli altri, a criticare gli altri, a sparlare degli altri. La mormorazione è come un’infestante nel giardino della nostra anima, della nostra vita; e per estirparlo, per tirarne via le radici, bisogna confessarlo! Bisogna dire a se stessi, davanti al Signore: « Io sono portato a pensare male degli altri. Sono pronto a criticarli, a mettere sulle spalle degli altri pesi, che in realtà sono miei; sono portato a vedere più il male che il bene. Costantemente pronuncio condanne, senza averne né le prove né il diritto. E in questo modo avveleno il mio ambiente: casa mia, i miei vicini, la comunità ». Secondo san Francesco c’è perfetta letizia anche quando gli altri ci criticano, anche quando gli altri sparlano. Questa condizione è per lui un espediente per diventare sempre più impermeabili alla mormorazione. Se non consideriamo la mormorazione degli altri, forse, ne faremo a meno anche noi.
Nel terzo passaggio, la donna comincia ad arrendersi, e si confida. Incomincia ad avere fiducia. È una persona che ha conosciuto la solitudine e la vergogna. Ora trova il coraggio della verità: “Non ho marito”. A quel tempo non avere marito, era il fallimento della vita, il peggiore scandalo. Non poteva esistere una donna da sola. C’è quindi un’infinita tristezza in questa confidenza: “Non ho marito”.
Quando si comincia ad essere sinceri si può provare anche vergogna di se stessi o paura. Paura di non farcela a migliorare, di essere troppo deboli, troppo fragili. Emerge una specie di tristezza interiore, che gli antichi monaci avevano sempre messo in evidenza come una specie di peccato: il vizio capitale della tristezza. Se non curiamo questa tipo di tristezza che è la paura di noi stessi, c’è il rischio di arrendersi alla mediocrità, di non impegnarsi più, di prendere la vita come viene: «tanto… non potrò cambiare! sono anni ormai ... come potrei migliorare? ».
Questa resa alla mediocrità è una sconfessione della fede! Il Signore può fare in noi “miracoli”, in qualsiasi condizione noi siamo: può trasformare radicalmente la nostra vita! Quello che importa di più è arrendersi davanti a lui e consegnarsi: la quarta tappa.
Nel Vangelo è contenuta, in più versioni, una preghiera che celebra questa consegna risolutiva: « Signore Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore». I santi assicurano che questa preghiera ripetuta a lungo, ripensando a ciò che si dice, ci mette sulla strada quaresimale e battesimale giusta. E di lì il passo ad incontrare il Signore è breve!
I quattro passi della samaritana sono una costante nella vita umana e nel cammino di fede. Sono anche evidenti nell’attuale pandemonia. All’inizio, quando il terribile virus attacca altri, lontano da noi, si fa tutto il possibile per negare, per sdrammatizzare. S’indossa la maschera della falsa sicurezza, irreale. Il male poi avanza, minaccia, non si può negare. Subentra allora la rabbia, il prendersela irragionevole contro qualcuno (i cinesi, gli stranieri, i pregiudizi, i comportamenti irragionevoli...). L’inutile sfogo non porta a nulla, se non alla chiusura e al pessimismo. Alla rabbia rancorosa subentra presto la depressione, lo sconforto, l’angoscia, il sentirsi perduti. È la fase più difficile, delicata e preziosa. Sentendosi unite e solidali le persone possono rientrare in sé, riconoscere la propria vulnerabilità. Nella fede possono incontrare la confidenza di Dio, unirsi alla passione di Cristo, cercare la forza e la consolazione dello Spirito. Le cose possono ritrovare la loro verità: il valore delle persone, la bontà del bene, la preziosità della vita. Soprattutto possono diventare più evidenti e insopportabili i nostri errori. Ce ne assumiamo la responsabilità e confessiamo il nostro peccato. Così, nel travaglio e nella conversione, ci orientiamo al vero e al giusto. La fede riacquista il suo fascino. Avviene un vero cambiamento di popolo, proprio come ci racconta la vicenda finale della donna di Samaria. E lì la via d’uscita, lo sbocco rinnovatore, del travaglio di questi giorni