Parrocchia di Poirino




TEMA: Catechesi 2: il lutto in condizioni estreme - in data: 27/03/2020

E dopo?
Questo povero rito può conservare la sua intensità umana e religiosa. Può diventare una vera celebrazione della fede. Può fissarsi nella memoria per essere poi evocato, quando sarà possibile, nella liturgia eucaristica che celebrerà l’anniversario.
In tempi normali, la liturgia funebre in chiesa è di grande aiuto. La sensibilità liturgica è rimasta in molti casi ancora viva. Ci si attende molto dai riti religiosi. Li si domanda, riconoscendone il valore. Lo si osserva proprio adesso che non sono possibili. Si esprime gratitudine quando sono celebrati bene, si lascia trapelare la delusione quando sono trascurati. Si preparano interventi scritti dal leggere durante le esequie, si propongono canti, cari al defunto. Si ritorna a una certa ritualità, anche laica, nel congedo della morte. Si sente la necessità di riscoprire la dimensione sociale dell’esperienza della morte, di trattare con rispetto e partecipazione vera il dolore e il lutto dei familiari, degli amici e dei conoscenti. Si vorrebbe reagire alla disumanizzazione della perdita del senso dei simboli religiosi.
La qualità umana di una società si misura anche da come essa si prende cura di coloro che si avvicinano alla morte, da come si accompagna chi è nel lutto e nella solitudine.
Nella messa di anniversario, si potranno trovare forme equilibrate e intelligenti per vivere più distesamente ciò che nel giorno di pena e di dolore della sepoltura è rimasto “incompleto” nel desiderio e nell’attesa.
È un dovere di giustizia non perdere la memoria dei fratelli e delle sorelle che se ne sono andati in solitudine. È infatti una condizione umana ineludibile dare forma collettiva al dolore della perdita. A questo servono i riti religiosi e civili: a ri-cordare: rigenerare il cuore.

Come accompagnare il lutto, in condizioni estreme?
In tanti ci hanno insegnato, in questi giorni, che anche da una terribile pandemia si può imparare e si possono trovare motivi per diventare migliori.
Cosa può insegnarci un rito così povero e per di più celebrato nell’inquietudine e nello sconforto? Si potrebbe rispondere: “Ciò che la morte ha sempre insegnato” ma che oggi avviene in una condizione alla quale non siamo preparati. Quello che la rielaborazione del lutto può compiere nell’arco dei mesi, qui viene richiesto da un lavoro mentale e spirituale di poche ore.
La morte insegna che la verità della vita è la gratuità. Impariamo a distaccarci dalle cose, dal denaro, dalle preoccupazioni eccessive, dall’arroganza delle idee e, anche, dal possesso delle persone. Nel giorno della morte, infatti, non porteremo nulla con noi. E più le nostre mani si abitueranno a dare piuttosto che a prendere, a offrire piuttosto che ad aggrapparsi, più quel giorno riusciremo a distaccarci serenamente e liberamente. Per tutta la vita, serenamente e senza ossessione, abbiamo da imparare ad accettare la nostra condizione, a riconciliarci con la morte.
Questo processo richiede molto tempo per compiersi. Sempre, ma soprattutto in questi giorni. L’impatto con la morte di un congiunto e le successive fasi di elaborazione della perdita, costituiscono una condizione psicologica difficile e delicata. Chi deve accompagnare un infermo nelle varie fasi della malattia, chi si trova più o meno improvvisamente privato di un legame affettivo essenziale, chi è tormentato dal dubbio di non aver fatto tutto il possibile, ha bisogno di un sostegno umano. Nelle condizioni attuali è più difficile riprendersi dal trauma del lutto. La rielaborazione del lutto comporta un percorso complesso, accompagnato da emozioni e sentimenti, spesso molto dolorosi: l’ansia, la tristezza, la chiusura relazionale, la perdita del gusto stesso della vita.
Attraverso il lutto è possibile coltivare ancora il legame infranto dalla morte. Dopo la morte si può ancora sentire l’amore di chi ci ha lasciati. Si può perpetuare l’amore verso chi non possiamo e vogliamo abbandonare. Freud consigliava i suoi pazienti in lutto di “lasciar partire” il loro caro. Chi ama non lo farebbe mai. La fede e il rito lo riannoda invece nell’interiorità spirituale. Chi esercita il ministero della consolazione si fa carico dello smarrimento prodotto dalla morte, cerca di diventare interprete della domanda di senso che la perdita di una persona cara rende evidente.
Se vorremo non sperperare la grazia di questi giorni, tornati alla normalità, dovremo
riservare agli ammalati, ai sofferenti, a chi giunge al termine della vita una pratica e una cura che ora ci sono impedite ma che poi custodiranno la lezione di saggezza di questo triste momento. I traumi vanno sempre affrontati, con un movimento inverso a quello che li hanno prodotti.